#18 Society - Eddie Vedder (2007)

Torno così, senza dire niente e senza particolari spiegazioni. Sono passati quasi otto anni dall'ultimo post, il numero 17 (superstiziose coincidenze?).

Torno perché mi divertiva scrivere di canzoni senza essere un'esperta e perché non sono mai arrivata a cinquanta... scusa Rob! Ma non vedo perché non provarci adesso, dopo aver capito che il mondo della comunicazione digitale non fa per me e aver creativamente reinventato la mia quotidianità più e più volte.

La canzone numero diciotto è un inno all'essenzialità tranne che nel lavoro di fino fatto con le parole, con cui Eddie gioca facendoci sembrare il tutto uno scioglilingua di una decina di termini che si rincorrono. Ed è anche un grazie alle mie origini accademiche, che hanno sviluppato radici profonde nella mia anima riportandomi a coltivare vecchie passioni.

Le parole appunto, ecco da dove voglio ripartire. Le parole che diciamo, quelle che ogni giorno insegno e quelle che ormai troppo spesso devo correggere. Come society, che i miei studenti pronunciano sempre drammaticamente all'italiana: sòssieti. O addirittura sòceti! E io che puntualmente cito questa canzone sperando che possa essere utile per ricordare la pronuncia corretta... con la mente che torna al Firenze Rocks di due anni fa, quando l'ho sentita dal vivo in duetto con Glen Hansard. Nel frattempo c'è stata una pandemia e da più di un anno ci vediamo, non sempre ma purtroppo troppo spesso, attraverso uno schermo. C'è chi ritiene che ci unisca e chi invece che ci divida. Ma in ogni caso, forse continuiamo a essere quella società with a greed with which we have agreed.

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